MUSEOS DE LA SEDA / SILK MUSEUMS
immateriale della città. LA FILIERA DELLA SETA. LA STORIA DI UNA CITTÀ La caratteristica fondamentale che contraddistingue il Museo della Seta di Como è la presenza dell’intera filiera di produzione: ogni sala rappresenta e contiene, perciò, una fase di lavorazione. Si parte da una prima sezione composta da sette sale, dedicate alla gelsibachicoltura e alla creazione del filo di seta greggio, alla torcitura, alla tessitura, al controllo qualità e alla preparazione del colore, per poi passare a una seconda sezione in cui si presentano invece tintura, stampa e finissaggio. L’intera filiera della seta è raccontata attraverso macchine, strumenti e attrezzi rigorosamente originali che, dismessa la loro funzione produttiva, sono entrati in Museo. Si tratta di beni originali che hanno, in prima persona, rappresentato quel periodo a cavallo di due secoli in cui l’industria serica comasca si è consolidata ed è cresciuta, andando a occupare uno spazio non solo in termini produttivi ma anche storici e culturali. Macchinari che hanno visto sapienti mani produrre ma che testimoniano anche l’asprezza della prossimità del lavoro industriale, ingegno della cultura ingegneristica analogica, tuttavia soggetto di una scarsità di regolamentazione sulla sicurezza, prezzo purtroppo comune a tutta l’industria manifatturiera recente. La storia raccontata all’interno del Museo, tramite i macchinari e gli strumenti presenti, è quella di una città fortemente connessa industrialmente, in cui il processo di meccanicizzazione delle macchine trasforma, in meno di vent’anni, la realtà artigianale in una più spiccatamente industriale grazie alla presenza di impianti idroelettrici. Sin dal 1883, infatti, l’ingegner Vanossi a Chiavenna, nella strozzatura alpina da cui nasce il Lario, costruì il primo bacino idroelettrico a servizio della nascente industrializzazione del territorio. In concomitanza con la prima illuminazione pubblica della città di Milano, già nel 1895 Thomas Edison mise in funzione le turbine della nuova poderosa centrale a Paderno d’Adda (Lecco). Il Museo racconta il positivismo tecnologico dell’era del vapore e dei primi motori a corrente continua, input energetico della produttività industriale in cui il tessile a Como è collettore di ricerca. Non a caso il Museo ospita un laboratorio chimico originale del 1950 dove sono raccolte collezioni di colori di matrice sintetica: le aniline per la tintura dei filati e dei tessuti. Più economici e pratici da utilizzare rispetto alle imprevedibili tinture naturali, soprattutto su un’industria a larga scala, le aniline segnano la rivoluzione sostanziale dell’avvento della chimica organica di sintesi rispetto alle tinture classiche ottenute da estratti vegetali. Nondimeno il percorso storico propone un solo campione di colorante naturale: il nero di campeggio ( Haematoxylum campechianum) , protagonista di filati di timbro nero di grado assoluto, ottenuto caricando la tintura violacea con sali di stagno. Proprio nella sezione che riguarda stampa e colori, troviamo un’inversione di rotta per quanto riguarda la meccanicizzazione degli attrezzi e degli strumenti da lavoro: se nella prima sezione la quasi totalità delle macchine è motorizzata, nella seconda ci si concentra al contrario su macchine manuali. Il contrasto evidente racconta un’importante sfaccettatura della realtà degli opifici dove, alla tecnologia ingegneristica, era affiancata 89
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